- Un Racconto di Paolo Cortesi
Le Ultime Parole
Io apro la porta dell'ingresso principale dell'Hotel Majestic Royal Splendid.
In effetti, è una grande porta girevole con uno spesso vetro color brandy e tanto ottone smerigliato ai bordi; io sono lì a fianco, a destra, di questa grandiosa porta girevole luccicante; vesto una giacca bianca che sembra quella d'un capitano di marina, ma si vede subito, dall'insieme del mio abbigliamento e altro ancora, che sono un servitore: ho i guanti bianchi, i calzoni neri con un filo d'oro, un berretto a visiera dura lucida.
Sto con le mani unite, una sull'altra, posate proprio sul pube; così resto per i minuti in cui non entra nessuno e la porta compie un lentissimo giro, residuo del moto precedente.
Quando arrivano i signori, io allungo un braccio, tocco appena la porta: la rallento se il signore ha spinto troppo forte, la forzo un po' se il signore non ha spinto abbastanza.
C'è gente che dà dei colpi, preme come se dovesse abbattere un ostacolo. Altri - donne, per lo più - sembra che abbiano paura del gran vetro rotante e lo sfiorano mentre fanno un sorriso timoroso, per far vedere che se sbagliano non è colpa loro.
Appena il signore ha superato il cilindro brillante, non mi guarda più. Prima, mentre doveva vedersela con quella meravigliosa baracca dorata, aveva un po' bisogno di me, o almeno doveva riconoscere che io, se non altro per il lavoro che facevo, sull'aggeggio ne sapevo più di lui.
Così, il tipo magari mi guardava per un attimo, magari sorrideva un poco, come per dire: "siamo accomunati da quest'affare della porta rotante". Ma poi si vedeva anche sulla faccia questo pensiero: "tu sei pagato per aiutarmi con quest'aggeggio".
(Perché, son convinto, una porta rotante non è una porta qualunque, anzi non è una porta vera. La porta, da che mondo è mondo, è una tavola rettangolare che chiude o apre il varco. Ma una porta girevole non esiste in natura; mentre in natura esiste il pietrone che ostruisce la bocca della caverna, e questa è una porta a tutti gli effetti. Dunque, una porta girevole dà sempre un pochino di imbarazzo; ed è per questo che hanno inventato il mio lavoro: quello che aiuta ad usare la porta girevole. E' anche per questo che i ricchi che entrano per la gran porta girevole dell'Hotel Majestic Royal Splendid si aspettano che ci sia lì accanto uno come me che li aiuta, che sorveglia che il loro ingresso sia sciolto, disinvolto, elegante perché chi è ricco non sarà mai più goffo).
Dunque, io regolo la rotazione della porta; e non pensate che dia troppa importanza al mio ruolo perché è quello che faccio io: le porte girevoli sono davvero qualcosa di strano e complicato e ci si può chiedere perché siano il simbolo degli alberghi costosi e preziosi, dato che non sono porte facili.
Credo però che sia anche per questo che la porta girevole è dei grandiosi alberghi padronali: perché è un apparato non facile, ed io so - per anni di esperienza - che ai ricchi piace quello che sanno appare agli altri poco facile.
Un giorno pioveva. Era un temporale grandissimo, che non solo riempiva e scompigliava tutto il cielo, ma arrivava giù fino a terra, fino alla strada che era diventata un fiume nero scintillante, con i tombini che ribollivano della pioggia schiumosa tanto che pareva la risputassero fuori, gorgogliando e spruzzando.
Il traffico si era rallentato; i passanti cercavano riparo sotto tettoie e negli androni dei palazzi, e molti guardavano al cielo, per calcolare quando quel turbinio sarebbe finito, e anche per vedere da quale tempesta si stavano sottraendo in quel rifugio diviso con altri, che stavano zitti, o parlavano sottovoce dell'acqua furibonda.
Io, dentro all'hotel, guardavo il marciapiedi deserto.
Nella furia dell'acqua, arriva alla porta dell'hotel una donna magra, ricca. La magrezza delle ricche è diversa da quella delle povere: per le ricche, la magrezza è un lusso che pagano. Per le povere, la magrezza è una malattia. Nelle donne ricche, la magrezza ha un aspetto artificiale; si vede bene che loro non sarebbero mai così se non fossero ricche.
E' una magrezza falsa e faticosa.
La donna arriva trafelata alla porta; gocciola. Non ha ombrello ed è inzuppata di pioggia. La riconosco; è una donna che tenta caparbiamente di essere creduta meno vecchia di quanto sia; che vive per combattere contro l'età, che con creme e operazioni di chirurgia estetica ha trasformato il suo corpo di vecchia in un corpo finto, in cui ogni parte - dal dito alla gamba, ai piedi - mostra senza pudore che non è come dovrebbe essere secondo natura.
Conosco la donna ricca: è la moglie di un uomo ricco, che ha lunghissime basette bianche, una pancia sferica e le labbra nere.
La donna arriva alla gran lastra di cristallo; spinge e non avanza. La porta non gira.
La donna guarda la porta con stupore, e subito dopo con stizza.
Spinge ancora, ma ha pochissima forza e poi tiene tra le braccia due scatole e dalla mano sinistra penzola una sporta di cartone, di quelle che danno nei negozi per ricchi, e contengono oggetti costosi, come maglioni di cachemire.
La donna spinge; la pioggia la batte sulla schiena, sulle spalle, le schiaccia i capelli sulla testa e sulla fronte.
Ora la donna dà dei pugni, ma sono i pugnettini delle donne arrabbiate e non fanno niente; fanno solo male alle donne che così diventano ancora più isteriche.
-Ma mi apri o no?!- urla la donna guardandomi con odio.
Io avevo già mosso un braccio verso la porta.
Dico:
-Certo, signora!-
ma la porta è bloccata; qualcosa si è incastrato sotto una lastra; guardo bene: vedo che un grosso lembo della moquette si è alzato e si è ficcato sotto l'anta girevole, bloccandola.
-Signora- dico - non spinga...-
La donna non mi lascia proseguire:
-Eh che cazzo! Che cazzo dici!? devo stare qui a infradiciarmi per te, stronzo!?-
Dà calci alla porta, che vibra un po' ma resta sempre ben chiusa.
-Apri! Apri! Apri!- strilla la donna.
-Sì, signora. Ma se lei spinge, non posso aprire. Vada un po' indietro:- e indico per terra, per farle capire cos'è che ferma la porta girevole.
-Che indietro!? che indietro, stronzo!? mi bagno tutta! non vedi come piove, cretino!?-
Mi inginocchio; cerco di rimuovere il pezzo di moquette che immobilizza la porta, ma la donna di là spinge come impazzita.
-Signora, guardi.- dico - C'è un pezzo di moquette che sta...-
-Pezzo di merda!- urla quella, e ha la faccia prosciugata e deformata da tese pieghe aride, sembra una mummia polverosa, la bocca aperta -Pezzo di merda, mi fai entrare sì o no?-
Qualche passante, nonostante la burrasca, sta a guardare e non capisce.
Allora provo a liberare la porta anche con la donna che continua a spingere. Afferro il pezzo di moquette come meglio posso, fra pollice e indice delle due mani, tiro fino a farmi male.
-Porco! Stronzo bastardo! Mi prendo una polmonite per colpa tua!- urla la donna, ormai ha la voce roca per la rabbia e per il troppo gridare.
Le sono cadute le scatole in terra, la borsa prestigiosa è a mollo in un rigagnolo. Tutta la roba dentro è diventata nera.
-Apri! Direttore! Ma non c'è il direttore!? Non c'è nessuno che cacci questo porco bastardo a calci in culo!?-
Urla pazzamente; pare non possa fare altro per tutta la vita che le resta da vivere. Sulla faccia si schiacciano i capelli bagnati: lucidi e molli sembrano sanguisughe.
-Signora, la prego- dico in un estremo tentativo - mi ascolti, se lei lascia la porta io posso sbloccarla...-
-Vaffanculo!-
-Signora, mi ascolti: non è colpa mia se non può entrare. Vede, c'è un pezzo della moquette che impedisce alla porta di girare...-
-Stronzo! Chiamami il direttore! Subito! Subito! Chiamami il direttore!- grida, e la pioggia fredda sulla faccia la eccita, la aizza; non ascolta, non ragiona.
-Ma signora...-
-Porco! Bestia! Chiamami il direttore! Subito! Ti faccio licenziare com'è vero iddio!- ora più che gridare, la donna rantola. Ha la voce arrochita, la gola brucia.
-Signora, mi sente?-
La donna è esausta, stringe la porta girevole come se mollare la presa le sarebbe causa di morte. Ansima. Per un po' tiene gli occhi chiusi. Si asciuga il naso che gocciola pioggia con il dorso della mano destra. Poi pare mettersi a piangere; vedo per un istante la smorfia che precede le lacrime. Poi le labbra si stringono; la donna dà ancora una spallata alla porta, e dice con voce rotta, faticosamente:
-Vaffanculo.- come fossero le sue ultime parole terrene; il suo lascito.
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di Paolo Cortesi