- Un Racconto di Paolo Cortesi
Il Progresso
Il conte Ottavio, in fondo, non era cattivo.
Antonio lo aveva detto tante volte agli altri domestici che se n'era convinto. Il conte Ottavio, pensava, è un signore, è abituato a comandare, a farsi servire. Antonio pensava ancora, e lo disse qualche volta, che se lui fosse stato conte, avrebbe fatto proprio come il signor Ottavio. Magari avrebbe avuto più pazienza, ecco questo sì, questo sì. Magari, avendo provato quanto è faticoso dire sempre sì signor conte, lui, Antonio, avrebbe avuto un po' più attenzione verso i servi.
Li avrebbe ascoltati di più. E se dicevano cose giuste, li avrebbe accontentati. Ma Antonio era nato stalliere da un uomo che aveva fatto lo stalliere tutta la vita e suo nonno era stato contadino prima di arrivare in città spinto dalla miseria come un forcone spinge un porco al macello.
Il conte Ottavio non era cattivo, a saperlo prendere, pensava Antonio, che aveva imparato come doveva prendere il signor conte.
Mai contrariarlo, essere sempre contento, soddisfatto, sazio. E quando il signore non parlava, bisognava stare zitti; se il signore parlava, bisognava raccontare fatti e fatterelli, con barzellette e storielle e bisognava parlare in dialetto che metteva il signore di buonumore.
Da quasi un mese il signor Ottavio si preparava per la notte di Capodanno del 1900. Antonio lo aveva sentito dire a Morlini, il segretario:
-Ma ci pensa, cavaliere? Abbiamo passato una vita a scrivere la data col 18 iniziale, adesso dobbiamo scrivere 19... ma non le fa impressione?-
Morlini sorrideva e dondolava il capo annuendo ritmicamente (lui sapeva come prendere il signor conte) e non diceva nulla per prudenza. Ottavio continuava:
-Millenovecento. Millenovecento.- ripeteva, assaporando le parole come fossero caramelle in bocca -Millenovecento. Dio, che cifra! Piena di zeri. A me lo zero fa paura, soprattutto nella colonna delle entrate!- e il conte rideva forte, e Morlini capì che adesso doveva ridere rumorosamente anche lui.
-Il nuovo secolo!- esclamò il segretario, a voce alta, come se una piazza lo dividesse dal conte -Entriamo nel secolo nuovo! Nel futuro!-
Quest'idea del futuro, l'immagine del secolo che entrava nel futuro come una freccia coglie il bersaglio, piacque tanto al conte che la fece sua. Un mattino, alla fine di novembre (Antonio ricordava i campi che scintillavano di ghiaccio e parevano cosparsi di migliaia di pezzetti di vetro chiaro) un mattino, il conte stava a guardare lo stalliere che strigliava un cavallo dal manto così nero che dava riflessi blu. Antonio lavorava sodo, perché si sentiva gli occhi del conte sulla schiena; il signor Ottavio parlava tanto, senza fermarsi, quasi con foga, come gli capitava di rado e solo quando un argomento lo interessava davvero (i cavalli, le donne, le corna degli altri, le rendite di case e poderi...). Il conte diceva:
-Con l'anno nuovo si rinnova tutto. Vedrai che cambiamenti, che progresso. Ormai la natura non ha più segreti. Con i telescopi riusciamo a vedere i pianeti lontanissimi. E abbiamo il telegrafo, le corazzate, i treni che vanno come fulmini. Sei mai stato in treno, tu?-
Antonio fece no con la testa, poi -poiché gli sembrò poco rispettoso- disse:
-No, signor conte.-
Ottavio fissava l'occhio sferico e lucente del cavallo; disse:
-Eh caro mio, il treno! Ti porta ovunque. A Parigi, a Vienna...-
-Bello.- mormorò Antonio, ma il conte non lo sentì neppure, e continuava:
-Con gli aerostati possiamo salire oltre le nuvole. E l'elettricità, la chimica, la meccanica. Il progresso, caro mio, questo è il progresso ed il millenovecento sarà pieno di progresso. Non ci saranno più guerre, perché la scienza ci fa tutti fratelli e andremo a esplorare l'Africa tenebrosa, andremo ai poli.-
-Non c'è più la guerra?- domandò Antonio, contento e timoroso come stesse scegliendo un regalo.
-Il millenovecento porterà bene anche a voi poveretti.- dichiarò il conte, con voce sicura.
Antonio restò sospeso nel gesto: col braccio destro alzato sul dorso del cavallo, pareva una delle statue nel giardino del conte. Sussurrò:
-Anche per noi?-
-Certo.- esclamò il conte Ottavio -Il progresso vi farà vivere meglio.- e non disse altro. Antonio avrebbe voluto chiedere come, quando il progresso gli avrebbe dato una vita più bella, ma non osò e riprese a strigliare Pallino, che era il cavallo preferito del padrone.
Il conte Ottavio rimase assorto e fermo; fissava qualcosa lontano, fuori dalla stalla; pareva che cercasse nell'orizzonte fumoso un segno del progresso imminente. Il cielo era bianco, opaco, e i rami neri degli alberi sembravano crepe in un muro.
Il signor Ottavio aveva organizzato nel suo palazzo una gran festa per la notte di Capodanno del 1900. Aveva invitato parenti, amici e nemici, nobili, ufficiali, professori dell'università e primari dell'ospedale. Aveva speso molto, e questo era davvero eccezionale perché il conte Ottavio era attento alle lire, ma voleva festeggiare un evento -diceva a gran voce al circolo- che capita una sola volta nella vita d'un uomo.
Così, aveva fatto ripulire il salone, lustrare il pavimento, le scale e gli specchi.
Però, per non buttare i soldi che poteva risparmiare, aveva comandato tutta la servitù a fare da maggiordomi. Il fattore, il giardiniere, l'ortolano e lo stalliere li aveva rivestiti con delle belle livree rosse e argento, affittate al trovarobe del teatro. Li aveva istruiti come fossero soldati, e aveva fatto anche delle esercitazioni. I quattro erano goffi e incerti; si sforzavano di essere gentili e leggiadri (così aveva detto il conte), ma le dita grosse, le facce scure d'un velo di barba tenace, le labbra socchiuse rivelavano che loro non erano mai stati dei domestici.
Arrivò la sera fatale. E tutto iniziò bene: le carrozze si fermavano davanti al portone illuminato della casa del conte, ne scendevano signori vestiti di nero e signore avvolte da profumi e da stole di pellicce lucenti. Poi ci furono le danze e il fattore, il giardiniere, l'ortolano e lo stalliere facevano un po' fatica a non distrarsi con quelle spalle nude di donna che si capiva che erano calde anche senza toccarle. L'orchestra suonava musiche bellissime, che loro quattro non avevano mai ascoltato prima.
Antonio portava in giro un vassoio colmo di bicchieri; cercava caparbiamente di essere leggiadro (il conte gli aveva spiegato cosa vuol dire quella parola) e si guardava in giro per portare da bere.
Ad un certo punto, mentre ruotava su di sé come gli aveva raccomandato il conte, Antonio urtò il colonnello Redis, che aveva settant'anni e crollò a terra, i bicchieri di cristallo caddero ed esplosero in un lampo brillante di schegge, il vassoio dette un rumore altissimo e spaventoso di gong che zittì i suonatori.
Il vecchio colonnello annaspava confuso a terra, con la sciabola tra le gambe che non riusciva a districare; Antonio si chinò per aiutarlo e così picchiò la testa contro quella dell'avvocato Crocci che pure lui s'era piegato per rialzare il vecchio. Arrivò il conte Ottavio di corsa; già da lontano gridava:
-Cosa c'è? Cosa c'è?!-
Antonio vide per un istante i suoi occhi feroci, i denti.
-Cretino! Idiota! Imbecille!- urlava il conte -Bestia! Bestia deficiente!- e agitava le braccia, pareva che volesse prendere a pugni Antonio, il quale se ne stava a testa bassa, con le mani lungo i fianchi, a farfugliare:
-Chiedo scusa... sono dispiaciuto...-
-Ma lo vedi cos'hai fatto, deficiente?!- gridava il conte, indicando i cocci di vetro con l'indice teso -Lo vedi, cretino?!-
Il colonnello si rimise in piedi barcollando, diceva con una vocina da ammalato:
-Ma no, ma lasci stare... non è nulla...-
Il conte continuava a insultare e maledire Antonio, poi finalmente alcune signore dissero che poverino era già tanto mortificato e non era il caso di infierire così.
Ottavio si fermò, respirava forte e strinse le labbra. Poi voltò la faccia dall'altra parte e disse allo stalliere:
-Va' via, va' via ché non ti veda mai più.-
Antonio fece un inchino alla schiena del conte. Bisbigliò "buonasera" ed uscì dalla sala, mentre si sentiva qualcuno esclamare:
-Su su! Allegria!-
Antonio andò nella camerina dove i quattro servi si erano cambiati d'abito. Si toglieva lentamente la livrea rossa e argento; alla luce della lampada ad olio i bottoni scintillarono come monete d'oro.
Antonio pensò che il millenovecento non avrebbe cambiato la sua vita.
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